Fonte: wwwfarmacista33.it
L’innovazione digitale in sanità è efficienza e risparmio. E le farmacie potrebbero giocare un ruolo importante nel ridurre il digital divide
L’innovazione digitale in sanità è efficienza e risparmio. E le farmacie potrebbero giocare un ruolo importante nel ridurre il digital divide. Ma l’Italia è indietro e presenta una situazione assolutamente eterogenea tra le regioni. Le tesi di Gianluca Polifrone approfondite nel volume “Sanità Digitale. Prospettive e criticità di una rivoluzione necessaria” (edito da Lswr-gruppo Edra) presentato alla Camera dei Deputati hanno generato grande attenzione. Infatti, puntano il dito sulla grave assenza di una governance del digitale negli attori del Servizio sanitario nazionale: mancanza di interoperabilità dei sistemi regionali rispetto alle informazioni sul cittadino-paziente, si continuano a sperperare risorse pubbliche nella replica di silos informatici diffusamente obsoleti.
Dottor Polifrone, tra ricetta elettronica, fascicolo sanitario elettronico (Fse), referti online, a che punto è la digitalizzazione delle sanità italiana?
«La stragrande maggioranza delle ricette sono oramai elettroniche, mi chiedo se non sia il tempo di rendere elettroniche anche quelle ospedaliere e quelle domiciliari. La norma sulla ricetta elettronica risale al 2012 e siamo andati a sistema con estrema lentezza tra il 2016 e il 2017, e nel 2019 ancora vi sono problemi irrisolti come la interoperabilità della ricetta elettronica in alcune aree del Paese. Sul versante Fse si registra identica situazione in termini di ritardo attuativo. Doveva essere inteso come carta di identità sanitaria fruibile su tutto il territorio nazionale, eppure resta un obiettivo ancora lontano poterlo considerare quale punto di accesso unico alle informazioni cliniche del cittadino. Questo eviterebbe che le pubbliche amministrazioni, in base a questo nuovo paradigma (“once only”), chiedano ai cittadini informazioni già rese. Il Fse è lo strumento digitale che può conservare la storia clinica di un paziente e i relativi programmi di assistenza domiciliare. Nonostante ciò, sono pochissime le realtà dove sono attivi i percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali, fondamentali nella gestione del paziente cronico. Sul versante dell’interoperabilità sono soltanto 11 le Regioni che hanno aderito allo snodo nazionale e complessivamente i Fse attivi sono pochi rispetto alla popolazione residente. Resto convinto che bisogna dotare, sin dalla nascita, ogni cittadino del proprio Fse e lavorare alacremente nel rendere i dati destrutturati e fruibili, con la dovute accortezze sull’anonimizzazione, perché è noto ai più che il dato equivale a ricchezza per uno Stato».
In Italia si parla spesso di digital divide: come possiamo colmare il gap parlando di sanità digitale?
È un fenomeno, peraltro non specificamente italiano, ma presente nel nostro Paese e ampiamente dibattuto e che si manifesta sul fronte del singolo cittadino non attrezzato per motivi vari – finanziari, culturali, capacità – nell’utilizzo delle tecnologie informatiche. Di questo problema deve farsene carico lo Stato che, come sancito all’ articolo 3, comma 2 della nostra Costituzione, deve ricercare rimedi per attenuare gli effetti discriminatori derivanti, nel caso di specie, dalle difficoltà di accesso alle tecnologie e quindi ai servizi che la sanità digitale può offrire. A riguardo, sarebbe auspicabile valutare la possibilità di abilitare l’accesso ai servizi della sanità digitale intermediari come le farmacie. Oltretutto questo è un progetto di cui si parla da anni senza risultati concreti per il momento. Bisogna sfruttare la capillare diffusione delle farmacie su tutto il territorio nazionale unitamente al rapporto fiduciario che si instaura con il paziente che in questo modo avrebbe sportelli fisici praticamente ovunque in Italia dove recarsi ed avere supporto adeguato, competente e professionale ed ottenere i servizi desiderati. Infine, è bene ricordare che, vista l’importanza che la sanità digitale riconosce nel Fse, esso prevede l’inserimento del c.d. Dossier farmaceutico il cui principale attore unitamente al medico prescrittore è il farmacista.
Quali le soluzioni per promuovere lo sviluppo del digital in sanità?
«Il Governo “Conte-bis” ha istituito il ministero dell’Innovazione adoperando una drastica semplificazione sulla governance del digitale, sino ad oggi complessa, che non ha certamente agevolato il processo di digitalizzazione pubblica, sanità compresa. Anche sul versante normativo serve riflettere se non sia il caso di stabilire poche regole e chiare. Naturale evoluzione, visto l’arretratezza in cui versa l’Italia, sarebbe l’istituzione di una commissione parlamentare permanente che si occupi solo dell’attuazione dell’agenda digitale e che ne possa verificare sistematicamente, con poteri di indagine, lo stato di attuazione su tutto il territorio nazionale. Si pensi che la Danimarca, nel 2017, annunciava l’istituzione della figura dell’ambasciatore del digitale, poiché un Paese evoluto si adatta ai tempi e deve necessariamente intrattenere rapporti diplomatici con le grandi multinazionali che producono tecnologia, in considerazione del loro impatto socio-economico. Serve un’azione incisiva e di coordinamento informatico dello Stato centrale, come prevede l’art. 117 lettera r) della Costituzione, con l’obiettivo di dotare il nostro SSN di un’unica infrastruttura digitale, che abbia un catalogo omogeneo di servizi, e banche dati fruibili ed interoperabili. Bisogna progettare le infrastrutture del futuro. Come negli anni Sessanta l’Autostrada del Sole ha unito fisicamente l’Italia, allo stesso modo la sanità digitale può e deve contribuire a omogeneizzare la tutela della salute da nord a sud e rendere il nostro SSN più sostenibile ed efficiente».
Come potrebbero impiegarsi possibili maggiori entrate (ad esempio da Fondi Ue o 2 mrd su FSN) nell’informatizzare la nostra sanità?
«Un Programma Operativo Nazionale (PON) sulla sanità digitale potrebbe contribuire a tracciare la strada. E bisogna esercitare un’azione di stimolo sulle Regioni, specie quelle del sud, perché investano parte dei propri fondi europei perché ciascuna abbia una sua infrastruttura digitale regionale dotata di standard e di livelli di sicurezza elevati ed interoperabili, i cui benefici di efficienza e di efficacia sono ormai noti. Bisogna investire per innovare, evitando così i gravosi costi della manutenzione di sistemi informatici obsoleti, spesso replicati ed inutili. Questa è la vera “spending review” della sanità pubblica che aiuterebbe anche ad abbattere disuguaglianze che, di giorno in giorno, purtroppo diventano sempre più marcate: oggi, è innegabile, che sul piano dei servizi resi, curarsi in Calabria non è come farlo in Lombardia».