Fonte: Farmacista33| 7 luglio 2016
Dagli Usa giunge un’innovazione laboratoristica che può contribuire a contenere e controllare il fenomeno dell’antibioticoresistenza. Sulla base dei risultati di due studi clinici, infatti, la Food and drug administration (Fda) ha di recente autorizzato l’immissione in commercio di un test che permette, dall’analisi di campioni prelevati dai pazienti, di individuare specifici marcatori genetici associati ai batteri resistenti ai carbapenemi, antibiotici ampiamente usati negli ospedali come ultima risorsa per il trattamento di infezioni gravi. Gli organismi resistenti – segnalati in quasi tutti gli Stati Uniti – sono comunemente indicati come Enterobatteri resistenti ai carbapenemi (Cre).

Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Atlanta, le infezioni da Cre si verificano più spesso in soggetti presenti in ambienti ospedalieri o in strutture di lungodegenza. Tra i pazienti più a rischio: quelli in trattamento per altre gravi patologie oppure che impiegano dispositivi come supporti per la ventilazione assistita, cateteri urinari o endovenosi o che stanno seguendo lunghi cicli di antibioticoterapia. Anche in tutta Europa la resistenza ai carbapenemi è in costante aumento – qui però in relazione soprattutto a Klebsiella pneumoniae e Acinetobacter – e i principali Paesi responsabili del fenomeno sono l’Italia e la Grecia, come risulta dalla sorveglianza sentinella dell’antibioticoresistenza, coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità (Ar-Iss), che fornisce i dati alla sorveglianza europea dell’Antimicrobial resistence interactive database (Ears-Net). Quali vantaggi caratterizzano il nuovo metodo analitico? Gli attuali sistemi basati sulla coltura batterica su materiale fecale e i relativi test di sensibilità possono richiedere fino a 4 giorni e, spesso, è richiesto un ulteriore test per confermare la presenza di carbapenemasi, ossia degli enzimi che inattivano gli antibiotici carbapenemici. Il nuovo test, invece, esamina campioni prelevati direttamente da pazienti, solitamente mediante tampone rettale, per la presenza di 5 diversi marcatori genetici associati con le carbapenemasi.

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«Il test» puntualizza l’Fda «va inteso come un supporto nel controllo delle infezioni e può essere usato in combinazione con altri dati clinici e di laboratorio. Pur esaminando i geni più diffusi delle carbapenemasi associati alla resistenza ai carbapenemi, il test non rileva i batteri, l’attività delle carbapenemasi né altre possibili cause non enzimatiche di resistenza ai carbapenemi. Inoltre non rileva tutti i tipi di geni della carbapenemasi, ed è comunque importante analizzare i batteri per monitorare con precisione la diffusione della resistenza ai carbapenemi». In ogni caso, ha dichiarato Alberto Gutierrez, direttore dell’Ufficio di diagnostica in vitro e radiologia del Center for devices and radiological health dell’Fda «utilizzando un campione prelevato direttamente da un paziente per verificare la presenza di marcatori genetici, gli ospedali ora possono identificare più rapidamente questi pericolosi batteri resistenti a determinati antibiotici».

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