Fonte: www.farmacista33.it

Dal 1° novembre trovano piena applicazione tutte le disposizioni introdotte con la Legge Dignità, che, tra le varie misure, ha imposto una stretta ai contratti a termine. Ma quali sono le indicazioni nel caso di proroghe e rinnovi di contratti già in corso? Quando si può parlare di proroga e quando di rinnovo? Come si deve applicare la maggiorazione al contributo addizionale a carico del datore di lavoro? A rispondere una recente circolare del ministero del Lavoro che fornisce alcune prime indicazioni interpretative, anche in considerazione delle richieste di chiarimento pervenute.

A essere interessati dalle novità sono i «rapporti stipulati tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, anche per effetto di una successione di contratti, o di periodi in somministrazione a tempo determinato, per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale» e «indipendentemente dai periodi di interruzione».

Tra i principi sottolineati c’è, in primo luogo, il fatto che «le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a termine di durata non superiore a 12 mesi» e, laddove si volesse superare questo periodo, «tale possibilità eÌ riconosciuta esclusivamente in presenza di specifiche ragioni che giustificano un’assunzione a termine»: «esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; esigenze di sostituzione di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria». In ogni caso, la durata massima è stata portata da 36 a 24 mesi.

A parte la stipula ex novo di un contratto a termine, per quanto riguarda il regime proroghe (massimo 4) e rinnovi, la circolare si sofferma innanzitutto sulla differenza tra le due modalità: «si ricorda che la proroga presuppone che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessita di prorogarne la durata entro il termine di scadenza. Pertanto, non e possibile prorogare un contratto a tempo determinato modificandone la motivazione, in quanto ciò darebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto». E aggiunge: «si ricade inoltre nell’ipotesi del rinnovo qualora un nuovo contratto a termine decorra dopo la scadenza del precedente contratto».

Ecco allora le regole: per quanto riguarda i rinnovi, indipendentemente dalla durata del contratto originario, la causale «eÌ sempre richiesta», mentre «è possibile prorogare liberamente un contratto a tempo determinato entro i 12 mesi», ma oltre tale periodo è necessario «indicare la causale». In questo caso, «si deve tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende eventualmente prorogare». Ecco un esempio: «Si consideri il caso di un primo rapporto a termine della durata di 10 mesi che si intenda prorogare di ulteriori 6 mesi. In tale caso, anche se la proroga interviene quando il rapporto non ha ancora superato i 12 mesi, sarà comunque necessario indicare le esigenze richiamate in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite».

Un ulteriore chiarimento arriva poi per quanto riguarda l’indicazione del termine del contratto, che deve risultare in forma scritta: nella legge infatti è stata eliminato «il riferimento alla possibilità che il termine debba risultare “direttamente o indirettamente” da atto scritto. In questo modo, si eÌ inteso offrire maggiore certezza in merito alla sussistenza di tale requisito. Viene quindi esclusa la possibilità di desumere da elementi esterni al contratto la data di scadenza, ferma restando la possibilità che, in alcune situazioni, il termine del rapporto di lavoro continui a desumersi indirettamente in funzione della specifica motivazione che ha dato luogo all’assunzione, come in caso di sostituzione della lavoratrice in maternità di cui non eÌ possibile conoscere, ex ante, l’esatta data di rientro al lavoro, sempre nel rispetto del termine massimo di 24 mesi».

Infine, il Ministero sottolinea comunque che è previsto il rinvio alla contrattazione collettiva in merito alla «facoltà di derogare alla durata massima del contratto a termine. Pertanto i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi».

Per quanto riguarda il contributo addizionale a carico del datore di lavoro, «pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, a decorrere dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del medesimo decreto) e incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Ne consegue che al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo. Analogo criterio di calcolo dovrà essere utilizzato per eventuali rinnovi successivi, avuto riguardo all’ultimo valore base che si sarà venuto a determinare per effetto delle maggiorazioni applicate in occasione di precedenti rinnovi. La maggiorazione dello 0,5% non si applica in caso di proroga del contratto».

Francesca Giani