Fonte: www.farmacista33.it

Cosa succede ai contributi Inps versati negli anni come farmacista dipendente per chi si appresta a diventare titolare? Quei soldi vanno persi o esiste un modo di recuperare quanto versato allo Stato ai fini pensionistici? Un modo potrebbe esserci secondo l’avvocato Gustavo Bacigalupo dello Studio Associato Bacigalupo-Lucidi che, rispondendo ad alcuni dubbi esposti da un vincitore del concorso straordinario, fa il quadro della situazione.

Punto primo: il titolare di farmacia, dal punto di vista della previdenza, è obbligato a pagare l’intera quota Enpaf al posto dell’Inps. Affinché non vadano persi i contributi Inps è necessario averli versati per almeno 20 anni, non ha importanza che il futuro titolare abbia lavorato come professionista dipendente anche per 17, 18, o 19 anni e, soprattutto, non è possibile neanche ricorrere alla contribuzione volontaria per raggiungere il periodo minimo necessario per godere della pensione che ne deriva.

«L’incompatibilità fra la prosecuzione volontaria e l’iscrizione a Casse o Enti che gestiscono forme di previdenza per i liberi professionisti è stata sancita con il Dps n. 1432/1971, poi integrato/modificato con la legge 47/1983, che ha inserito anche l’Enpaf tra gli Enti che dal Dpr citato erano stati invece esclusi, cosicché il titolare della farmacia non può ottenere l’autorizzazione al versamento contributivo volontario» spiega l’avvocato. Quale potrebbe essere, dunque, una soluzione alternativa alla contribuzione volontaria?

Uno dei vincitori del concorso straordinario si chiede se, nel caso di farmacia vinta in contitolarità con conseguente costituzione di una snc, il socio che vuole continuare a pagare l’Inps possa essere inquadrato come dipendente della società stessa. Anche in questo caso «la risposta deve essere negativa per l’inconfigurabilità di un qualsiasi vincolo di subordinazione in tal senso e questo a prescindere dall’assunzione da parte di uno o più soci della veste di amministratori». E così è a prescindere dal fatto che il riconoscimento della titolarità ai vincitori sia in forma associata pro quota tra loro, «perché la vicenda si porrebbe negli stessi termini anche se al titolare della farmacia fosse riconosciuta la società come tale», spiega Bacigalupo, sottolineando che «un socio può figurare come lavoratore subordinato della società cui egli partecipa, ma deve trattarsi di un socio accomandante in una sas».

Risulta, dunque, che «il solo percorso che può consentire, astrattamente, all’interessato di non perdere i contributi versati è quello di instaurare con un “committente”, naturalmente diverso da una farmacia e da un’industria farmaceutica, un rapporto di collaborazione, quindi di lavoro autonomo, che preveda da parte sua, per evitare che i relativi compensi restino assorbiti sul piano previdenziale dal contributo annuale dovuto all’Enpaf proprio per la sua veste di socio, prestazioni “non professionali” e quindi come “non farmacista” (come, ad esempio, la collaborazione con un quotidiano o un periodico); in tale evenienza, e soltanto in tale evenienza, egli verrebbe infatti iscritto nella Gestione Separata dell’Inps che potrebbe in futuro permettergli sia il ricongiungimento o la totalizzazione delle due posizioni previdenziali, come pure di conseguire l’autorizzazione al versamento di contributi volontari”, afferma l’esperto il quale, tuttavia, ha voluto sottolineare che questa “è poco più di un’ipotesi, senza contare che anche il lavoro autonomo sarebbe, almeno secondo i funzionari di una Regione, incompatibile con lo status di socio ai sensi del comma 1, lett. c), dell’art. 8 della l. 362/91, anche se si tratta di una tesi che a noi non pare condivisibile».