Fonte: www.farmacista33.it

Nella gestione a domicilio del paziente a basso rischio diventano centrali la corretta misurazione della saturazione e l’assunzione di farmaci. Il punto con le indicazioni da seguire
La corretta gestione del paziente a basso rischio a domicilio è un elemento fondamentale del percorso assistenziale nel Covid-19, anche perché può ridurre la pressione sulle strutture ospedaliere.

Tra i punti cardini del monitoraggio necessario per assicurare la sicurezza del paziente c’è anche la corretta misurazione della saturazione e dal Ministero della Salute, nelle Linee guida rilasciate di recente, sono state date alcune indicazioni su come effettuare il controllo e sulle prove che il paziente può fare a casa. Ma, come segnalano alcuni farmacisti, tra cittadini, pazienti e care givers non mancano dubbi su come comportarsi nelle varie situazioni, anche in merito all’assunzione di farmaci che non richiedono prescrizione o di integratori. Sul tema, dall’Aifa, nel documento di ieri dedicato alle terapie domiciliari, è stato fatto un punto.

Cure a casa: quando è possibile e quando la situazione è a rischio e richiede attenzione
La gestione del paziente a domicilio, va ricordato, può avvenire solo in determinate condizioni, per pazienti a basso rischio, che vanno quotidianamente monitorati da parte del medico di medicina generale e del pediatra. In particolare, sottolineano Ministero e Aifa, ci deve essere «assenza di fattori di rischio aumentato – per esempio patologie neoplastiche o immunodepressione» – e, pur in presenza di «sintomatologia simil-influenzale (ad esempio rinite, tosse senza difficoltaÌ respiratoria, mialgie, cefalea); sintomi gastro-enterici (in assenza di disidratazione), astenia, ageusia / disgeusia / anosmia», ci deve essere «assenza di dispnea e tachipnea (documentando ogni qualvolta possibile la presenza di una SpO2 > 92%); e «febbre minore di 38 °C o >38°C da meno di 72 ore». Un nodo della strategia domiciliare è la individuazione della «cosiddetta “ipossiemia silente”, cioè la condizione clinica caratterizzata da bassi livelli ematici di ossigeno in assenza di significativa sensazione soggettiva di dispnea e di rilevazione di segni di iniziale impegno respiratorio (tachipnea, alitamento delle pinne nasali, utilizzo di muscoli accessori per la respirazione, rientramenti al giugolo, rientramenti intercostali e sottocostali) tipica di Covid-19 e il conseguente rapido peggioramento clinico del paziente». In questo senso, «la pulsossimetria domiciliare fornisce un’informazione medica di cruciale»; l’utilizzo «diffuso del pulsossimetro potrebbe ridurre gli accessi potenzialmente inappropriati ai servizi di pronto soccorso degli ospedali, identificando nel contempo prontamente i pazienti che necessitano di una rapida presa in carico da parte dei servizi sanitari».

Saturimetro: il test del cammino e il test della sedia
Nel documento ministeriale, in particolare, al riguardo, vengono ripercorsi alcuni test che possono essere eseguiti e di cui viene segnalata «la relativamente facile realizzabilità» anche con supporto a distanza del medico. Questi sono il «test del cammino – che si effettua facendo camminare l’assistito per un massimo di 6 minuti lungo un percorso senza interruzione di continuità di 30 metri monitorando la saturazione dell’ossigeno – e il “test della sedia” – che consiste nell’utilizzo di una sedia senza braccioli, alta circa 45 cm, appoggiata alla parete: il paziente, senza l’aiuto delle mani e delle braccia, con le gambe aperte all’altezza dei fianchi, deve eseguire in un minuto il maggior numero di ripetizioni alzandosi e sedendosi con gambe piegate a 90 gradi, monitorando la saturazione dell’ossigeno e la frequenza cardiaca mediante un pulsossimetro per documentare la presenza di desaturazione sotto sforzo». Secondo il documento ministeriale si «ritiene come valore soglia di sicurezza per un paziente Covid-19 domiciliato il 92% di saturazione dell’ossigeno (SpO2) in aria ambiente. Infatti, valori di saturazione superiori a questo limite hanno una assai bassa probabilità di associarsi a un quadro di polmonite interstiziale grave. Inoltre, il margine medio di accuratezza dei saturimetri commerciali eÌ stimabile nell’ordine di ± 4%». È importante, alla luce di questo, una corretta educazione del paziente, che «dovrà essere istruito sulla necessitaÌ di comunicare una variazione dei parametri rispetto al baseline e, in particolare, dovrà comunicare al medico valori di saturazione di ossigeno inferiori al 92%».

Aifa: ecco i farmaci non raccomandati per pazienti a casa
Sempre in merito alla gestione del paziente a domicilio, ieri, dall’Aifa è stato pubblicato un aggiornamento dei “Principi di gestione dei casi covid-19 nel setting domiciliare”, con alcune raccomandazioni sul trattamento farmacologico domiciliare dei casi lievi. In generale dall’Aifa viene «raccomandato che il paziente non modifichi le terapie croniche in atto – salvo diverso parere del medico – e che non utilizzi supplementi vitaminici o integratori alimentari». Il consiglio poi è di «non somministrare farmaci mediante aerosol se in isolamento con altri conviventi per il rischio di diffusione del virus nell’ambiente». In particolare, per la terapia sintomatica, possono essere utilizzati «paracetamolo o fans, in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso. Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico». L’uso dei «corticosteroidi a domicilio può essere considerato in quei pazienti il cui quadro clinico non migliora entro le 72 ore, se in presenza di un peggioramento dei parametri pulsossimetri che richieda ossigenoterapia». Ma è «importante ricordare in molti soggetti con malattie croniche l’utilizzo del cortisone può determinare importanti eventi avversi che rischiano di complicare il decorso della malattia virale». Inoltre, «l’utilizzo routinario delle eparine non è raccomandato in soggetti non ospedalizzati e non allettati, in quanto non esistono evidenze di un beneficio clinico in questo setting». Ci sono poi «farmaci non raccomandati: tra questi in particolare l’utilizzo routinario di antibiotici, l’utilizzo di clorochina e idrossiclorochina, se non nell’ambito di studi clinici sul territorio, così come lopinavir/ritonavir o darunavir/ritonavir».