Fonte: www.farmacista33.it

Proprio perché il contratto dei dipendenti di farmacia privata era stato formulato prima che ci fossero le liberalizzazioni di Monti, che hanno interessato, tra gli altri aspetti, orari e aperture delle farmacie, non è previsto per il collaboratore un obbligo a dare la propria disponibilità per quanto riguarda le domeniche cosiddette “commerciali”, cioè quelle decise dal titolare. L’obbligo, al contrario, c’è solo per le domeniche in cui la farmacia è di turno. È con queste parole che si inserisce nel dibattito sulle liberalizzazioni orarie, Benedetta Mariani, presidente Fiafant, che fa parte anche della consulta delle professioni della Cgil: «Nei contratti nazionali del commercio» fa il punto «per il dipendente è previsto un obbligo a dare la propria disponibilità per il lavoro domenicale, senza alcuna distinzione. Questo fatto interessa, quindi, i farmacisti che lavorano nei corner Gdo e in parafarmacia, laddove venga applicato il contratto commercio.

Per quanto riguarda, invece, i dipendenti di farmacia privata, che fanno riferimento al contratto firmato da sigle confederali e Federfarma, il collaboratore è tenuto a prestare il proprio servizio di domenica solo quando la farmacia è aperta per disposizioni dell’autorità sanitaria, cioè quando è di turno. Mentre nulla è scritto per quanto riguarda le domeniche cosiddette commerciali, quelle cioè in cui l’apertura è decisa dal titolare, al di fuori del turno obbligatorio.

Questo implica che il dipendente di farmacia può legittimamente non dare la propria disponibilità al lavoro nelle domeniche commerciali. Capisco che ci può essere paura di conseguenze, ma alle regole bisogna dare il giusto valore. Essendo un diritto, non ci può essere alcun tipo di contestazione formale in caso di rifiuto. E così succede: per esempio in una catena di farmacie comunali presenti a Milano, che applica, discutibilmente secondo il nostro punto di vista, il contratto di Federfarma anziché quello Assofarm, ci sono dipendenti che si sono rifiutati di prestare servizio nelle domeniche non di turno, senza alcuna conseguenza, proprio perché stanno esercitando un legittimo diritto. In ogni caso, è importante sapere che è un diritto dire di no e, su questa base, per chi lo preferisse, si può cercare un accordo, da una posizione negoziale migliore».

In generale, «vediamo con favore il dibattito che si è aperto anche nella categoria e condividiamo le prese di posizione di alcuni ordini che hanno messo in luce come la liberalizzazione di orari e aperture nel settore ha rotto quell’equilibrio, definito da aperture a rotazione e concertate con gli enti locali, che era in grado di garantire al meglio servizio al cittadino e sostenibilità economica per le farmacie. E non possiamo che rimarcare che la filosofia del sempre aperto non ha portato ad aumenti di fatturato, gioco forza suddiviso tra tutte le sedi aperte, né assunzioni, avvantaggiando caso mai le catene, e che dal punto di vista del dipendente provoca danni nella conciliazione tra vita e lavoro».

Ricordiamo anche, continua, che «nella trattativa per il rinnovo del contratto dei dipendenti di farmacia privata, laddove si dovesse discutere delle aperture domenicali, pur auspicando una limitazione a quelle di turno, facciamo presente che la maggiorazione dovrebbe essere oggetto di approfondimento, perché molto più bassa che nel commercio. La maggiorazione del 30%, prevista dal commercio, vale per i dipendenti di farmacia solo sotto straordinario, quando se si è raggiunto il numero di ore settimanali totali – 40. Al di fuori di questa quota, la maggiorazione è del 13%: vale a dire circa 9 euro in più rispetto alla paga base per mezza giornata e 15 per una intera».

Francesca Giani