Fonte: www.pharmaretail.it

Continua il discorso sulla comunicazione, con temi che trattano gli elementi fondanti fornendo spunti validi anche per la relazione con il cliente.
Era la notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 e, nella ricostruzione dello storico Ivan Lantos, riviviamo l’impatto del Titanic.
Un altro iceberg, per fortuna non minaccioso né mortifero, troneggia nella teoria della comunicazione. Ma è un iceberg metaforico, e il traslato viene utilizzato grazie alla proprietà delle montagne di ghiaccio galleggianti di sporgere dal mare per il 10% del loro volume, mentre il restante 90% rimane sott’acqua, praticamente sottratto alla vista. È il cosiddetto iceberg della comunicazione.

I livelli della relazione comunicativa
Nella comunicazione interpersonale, infatti, bisogna considerare tre livelli di relazione comunicativa, e cioè
• Il livello verbale
• Il livello paraverbale
• Il livello non verbale
Il primo livello è costituito da quanto viene detto, quello che un verbalizzatore trascriverebbe. Il secondo consta del tono di voce, delle pause, dell’enfasi. È, insomma, il “come” ci si esprime, il modo in cui si modula il discorso. Il terzo livello è fatto dai gesti, le posture, i movimenti del viso e del corpo che accompagnano il parlato. Ora, la parte puramente verbale può essere considerata il frammento dell’iceberg pienamente visibile, quello che sporge dall’acqua, mentre il resto può essere paragonato alla porzione che rimane sott’acqua e che è quasi totalmente nascosto alla vista. In realtà, i segnali paraverbali e non verbali sono percepiti, anche se più che altro in maniera subconscia e inconscia (non a caso anche Freud usò la metafora dell’iceberg parlando della coscienza). Quello che succede è che la loro influenza sull’interlocutore è determinante. Come avviene per l’iceberg, la parte invisibile o meno visibile rappresenta il 90%, in questo caso dell’efficacia comunicazionale di un messaggio.

La comunicazione con il cliente
L’iceberg della comunicazione va tenuto presente nella costruzione del rapporto con una persona, per esempio con un cliente. Se c’è o se manca un ascolto partecipativo dei suoi problemi, un interesse reale verso ciò che lo angoscia, il cliente-paziente lo percepirà, a volte senza averne completa coscienza, dall’atteggiamento, dalla comunicazione paraverbale e non verbale più che dalle parole del farmacista. Stesso discorso se il farmacista è stanco, ha problemi personali che lo turbano, è distratto: il suo interlocutore sentirà che ci sono ostacoli nel loro dialogo e ne avrà un’impressione negativa, anche se non sempre riuscirà a razionalizzare completamente la propria sensazione.
Per costruire una relazione eccellente, che è la base per soddisfare e fidelizzare un cliente, l’ideale sarebbe avere un atteggiamento cordiale, attento, spontaneo, anche se non si può comandare (o comandarsi) la spontaneità, perché se c’è una forzatura, non c’è più autenticità di comportamento. Bisogna comunque essere ben consci che è importante togliere il più possibile le barriere nel dialogo e porgersi al cliente con attenzione, con partecipazione, con autorevolezza controllata, anche con umiltà.
Analogamente, se ci si allena a “leggere” il linguaggio paraverbale e non verbale dell’interlocutore, è più facile capire quello che vuol dire e che prova, attraverso l’interpretazione dei suoi stati d’animo. Purché non si tratti di facce imperscrutabili, come quella di Clint Eastwood. Prima di farne un mito, Sergio Leone disse di lui “ha soltanto due espressioni: una con il cappello e una senza cappello”.