Fonte: www.farmacista33.it

«In linea di massima, va salutata con favore dalle farmacie la misura inserita nella manovra che abbassa il tetto per la spesa farmaceutica convenzionata dall’11,35 al 7,85% del Fondo sanitario e alza il tetto della spesa farmaceutica ospedaliera dal 3,5 al 7% dello stesso Fondo. La soluzione di accorpare alla spesa ospedaliera anche la spesa delle aziende sanitarie per i farmaci in distribuzione diretta o per conto riconduce alla responsabilità della filiera farmaceutica solo le spese originate dalla distribuzione in convenzione ed evita che la farmacia territoriale ripiani, come avvenuto in passato, sforamenti di cui non può decidere né modalità né ammontare».

A parlare è il commercialista Marcello Tarabusi dello studio Tarabusi e Trombetta di Bologna. Con la nuova legge di stabilità all’articolo 61 è previsto che i medicinali acquistati dalle aziende sanitarie con sconti del 50% e distribuiti direttamente o per conto dalle farmacie “sotto casa” con una remunerazione per il servizio svolto, fin qui conteggiati nella farmaceutica territoriale, si trasferiscano nella tabellina della spesa ospedaliera per un valore di circa 4 miliardi. Federfarma non ha dato un giudizio ancora sul punto ma nella newsletter Filodiretto ha sottolineato che intanto la manovra cambia il criterio con cui si distingue spesa territoriale ed ospedaliera: a guidare non sono più i canali distributivi (territorio da un lato, con il doppio canale farmacie più Asl, e ospedale dall’altro) “ma le modalità di acquisto: prezzo negoziato per la spesa farmaceutica convenzionata, gare d’asta per la spesa tramite acquisti diretti; ne consegue che dal 2017 le farmacie del territorio dovrebbero attingere da entrambi i budget: dalla spesa convenzionata per i farmaci di fascia A, dagli acquisti diretti per la distribuzione per conto”.

Federfarma si chiede poi se dalla revisione dei tetti si possa intuire un guadagno, un pareggio o una perdita per le farmacie del territorio rispetto a quest’anno, citando l’Osservatorio farmaci del Cergas secondo cui è possibile un pareggio, visto che la convenzionata 2015 era a 8,4 miliardi di euro ed ammontava al 7,8% del Fondo sanitario nazionale di quell’anno, circa un decimale al di sotto del tetto che la convenzionata dovrebbe ricevere dal 2017. «Secondo l’articolo 8 della legge 405 2001 la distribuzione diretta nei presidi ospedalieri avrebbe dovuto essere utilizzata per i farmaci specialistici, per il primo ciclo di cura post-ricovero e per quelli che richiedono un monitoraggio costante del paziente. Ma negli anni – sottolinea Tarabusi – le regioni hanno iniziato ad acquistare a metà prezzo e distribuire per conto anche fascette per diabetici e medicine per le cronicità. Da una parte il valore dei medicinali commerciati in farmacia territoriale si è ridotto, le farmacie hanno perso fatturato, dall’altra i medicinali sottratti alla loro distribuzione erano comunque conteggiati nella spesa convenzionata. Ora si fa chiarezza, il tetto di spesa non è posto sulla farmaceutica territoriale ma su quella propriamente convenzionata», dice Tarabusi.

Ma aggiunge: «È prematuro dare delle cifre sul futuro. Credo assumerà un peso fondamentale la distribuzione per conto. Da una parte è auspicabile che anche questa componente di spesa sia ricondotta nell’ospedaliera. Dall’altra, più perde valore il farmaco commerciato con i canali di distribuzione convenzionati più la Dpc diventa centrale anche nella trattativa con Sisac. Occorre una remunerazione adeguata, e che al tavolo si tenga conto di due fattori: primo, è vero che la parte pubblica compra a metà prezzo i medicinali che distribuisce, ma vanno considerati tutti i costi diretti e indiretti, con eventuali inefficienze del sistema; inoltre va considerato il costo sociale costituito dalla necessità per un cittadino di approvvigionarsi a volte molto lontano da dove risiede perché la sua medicina nella farmacia sotto casa senza Dpc non si trova».