fonte: www.farmacista33.it

La pandemia ha cambiato in molte categorie del servizio sanitario la percezione che hanno di sé, come per i farmacisti
Come tutte le guerre, la pandemia di coronavirus ci ha fatto vivere tante epoche in pochi mesi.

Cinque in questo caso: dal risparmio degli anni pre-Covid all’iniezione di liquidità dei decreti-legge Cura-Italia e Rilancio del 2020; quindi, dal recupero delle liste d’attesa dei pazienti non Covid di quest’anno all’afflusso estivo di risorse europee chieste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, infine il ritorno all’austerità. Ma fra le tante novità, come hanno spiegato illustrando il Rapporto Oasi 2021 il coordinatore Francesco Longo ed Alberto Ricci del Cergas dell’Università Bocconi, la pandemia ha cambiato in molte categorie del servizio sanitario la percezione che esse hanno di sé. Al “cambio di pelle” non fanno eccezione i farmacisti.

Misurare l’efficacia dei farmacisti dipendenti Ssn
Se sul territorio la farmacia convenzionata attraverso tamponi e ora vaccinazioni ha ufficializzato la sua capacità di offrire servizi, emersa nel primo picco pandemico là dove gli studi dei medici di famiglia erano forzatamente chiusi, l’evoluzione del farmacista ospedaliero e dei servizi territoriali Asl, altrettanto importante, sembra forse passare più sottotraccia. Per aiutare i farmacisti dipendenti Ssn a misurare le proprie performance e a riposizionarsi nel nuovo sistema, Cergas Bocconi e Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (Sifo) hanno ideato un progetto di ricerca dal titolo “Farmaper” ed istituito un gruppo tecnico misto dedicato a realizzarlo. Sono stati distribuiti due questionari a 70 tra aziende sanitarie ed ospedaliere. Le 25 compilazioni dimostrano come nel farmacista emerga la volontà di ricoprire un ruolo non di semplice dispensatore, gestore, o programmatore della gestione degli stock, ma anche di quality e risk management sull’uso di farmaci e dispositivi medici e di stewardship antimicrobica. In un articolo a firma di Elisabetta Trinchero, associata di Public Management, nonché di Francesca Lecci e Andrea Rotolo, rispettivamente Associata e lecturer di Healthcare management, si spiega come il farmacista dipendente Ssn chieda oggi di poter misurare la propria attività in termini di efficienza, di efficacia e di impatto sul sistema salute. «È evidente – spiegano i tre ricercatori Bocconi – la necessità di un cambio di punto di vista della professione e l’esigenza di modificare la misurazione dei risultati dal mero calcolo economico a quello dei risultati e del valore prodotto».

Funzioni ad alto valore aggiunto
“Il ruolo del farmacista – scrivono gli autori – risulta rilevante e coerente con le competenze rispetto alla partecipazione a commissioni su farmaci e dispositivi medici, con le attività di vigilanza e con attività di farmaco-vigilanza”. Accanto a queste, vi sono poi altre funzioni ad alto valore aggiunto presenti in almeno l’85 % delle aziende sanitarie intervistate: nella consulenza legata a “quality & risk management” il farmacista percepisce di aggiungere valore specie nelle attività dirette al paziente e correlate all’appropriatezza d’uso sia dei farmaci sia dei dispositivi medici. Partecipa inoltre a processi di definizione dei budget, di programmazione degli obiettivi e d’impiego risorse a livello aziendale. Ci sono altresì aree in cui il valore aggiunto è elevato ma per le quali le strutture di farmacia Asl sono poco coinvolte, come la formazione sui temi della qualità e della sicurezza nei processi interni della farmacia, che si persegue solo nel 65 % delle Asl del campione. Sono ancora di meno le Asl che coinvolgono il farmacista nella ricognizione farmacologica ai fini della riconciliazione terapeutica e nella vigilanza sui dispositivi. La stewardship antimicrobica, altro grande obiettivo professionale di cui è alto il valore percepito, è svolta oggi nel 65-70% delle aziende. Nella logistica ci sono attività considerate molto professionalizzanti tra cui la gestione delle terapie per le malattie rare e dei farmaci carenti, ed altre (gestione degli ordini di farmaci e dispositivi e del ciclo di magazzino) svolte dai farmacisti in almeno l’85 % delle aziende malgrado siano affidabili ad altri professionisti.
In tutto questo, il Covid ha cambiato qualcosa. Le risposte ai questionari hanno evidenziato la capacità dei farmacisti, in pandemia, nel produrre valore nel rifornimento e nella distribuzione dei dispositivi di protezione individuali, nel fare rete, nel mettere a punto preparazioni galeniche legate ai bisogni dei pazienti Covid-19 e nel supporto ai clinici. Sono invece mancati strumenti e risorse per l’approvvigionamento di farmaci e dispositivi medici e coinvolgimento nei processi decisionali. “Il personale in molti casi – si legge nell’articolo – non è risultato adeguato in termini numerici a gestire l’incremento della mole di lavoro; è mancata, inoltre, la possibilità di consolidare competenze su sicurezza ed igiene, temi più che mai centrali negli ultimi mesi”.