Fonte: www.faramacista33.it

«L’anticipo della pensione che si realizza con un prestito da rimborsare all’Inps in 20 anni, al momento non sembra un beneficio realmente commisurato all’usura che comporta il nostro lavoro e all’entità esigua del salario reale del farmacista dipendente: una categoria dove pure in tanti vorrebbero, e spesso comprensibilmente, andare via prima». Silvera Ballerini farmacista e presidente del Conasfa, la federazione delle associazioni dei farmacisti non titolari, commenta la proposta del governo di sperimentare l’Ape, l’anticipo pensionistico in ambito Inps. In base alla sperimentazione biennale che la presidenza del consiglio sta per mettere in pista, il lavoratore pubblico e privato coperto da Inps – che oggi andrebbe in pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi (un anno prima se donna solo nel privato), come del resto il lavoratore autonomo -potrebbe anticipare l’uscita dal lavoro di un anno, o anche più, a ritroso fino a tre anni e sette mesi.

Dal 2017, chi ha compiuto 63 anni si vedrebbe recapitare in banca, senza penalizzazioni, l’assegno che avrebbe invece visto anni dopo; ma i soldi ricevuti in più rispetto al dovuto sono un prestito ventennale, e lo dovrebbe rendere versando da 12 a 48-50 mila euro a seconda se il periodo di quiescenza guadagnato è minimo (un anno) o massimo (3 anni e 7 mesi). In caso di premorienza subentrerebbe un’assicurazione con la quale, al momento di scegliere questa forma di ritiro anticipato, il lavoratore accenderebbe una polizza onerosa. Secondo gli ultimi sviluppi del confronto tra i sindacati e il governo, il prestito sarebbe oneroso dopo i 1200 euro netti di pensione e non sarebbero tenuti a restituirlo i lavoratori che si pensionano per lavori usuranti, i disoccupati di lungo corso e forse gli esuberi per i quali il governo chiederebbe uno sforzo alle aziende.

«Nella fascia dei nati nel ’53 tra i nostri ce n’è tanti che vorrebbero andarsene», riprende Ballerini. «Il nostro lavoro è faticoso dal punto di vista fisico e mentale, richiede concentrazione alta e otto ore al giorno in piedi. Per di più si va via tardi». Difatti, l’Inps consente la pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi (65 e 7 mesi per le donne, ndr) e l’Enpaf al compimento dei 68 anni.
«Il dipendente delle farmacie è contribuente tanto Inps quanto Enpaf, e anche se negli anni quest’ultima contribuzione si è ridotta e c’è la possibilità di versare la sola quota di solidarietà, essere liberi di scegliere se versare o no a due enti pensionistici anziché uno allevierebbe di molto le problematiche di una parte di noi», dice Ballerini. «Non dimentichiamo che, a fronte del vantaggio di avere una seconda piccola pensione per chi contribuisce attivamente ad Enpaf, pur magari fruendo di riduzioni al 33, 50 e 85%, l’onere è pesante, specie considerando che i nostri stipendi nell’arco di tutta una carriera oscillano dai 1200 ai 1600 euro. Dover sostenere un ulteriore onere, con Ape, nel nostro contesto appare fin qui un fattore determinante in negativo»