Fonte: www.farmacista33.it
Presa in carico del paziente oncologico, Claudio Verusio illustra i progressi nel campo dell’assistenza alle terapie
L’organizzazione dell’ospedale rispetto alle patologie oncologiche va ridisegnata intorno al malato che deve essere preso in carico da team competenti di cui fanno parte non solo figure mediche, l’infermiere specializzato il radiologo, ma anche il farmacista adeguatamente formato che sul territorio può intercettare i bisogni del paziente, anche più del medico già chiamato alla medicina di iniziativa su più fronti. Questo il pensiero che emerge dall’intervista, pubblicata dalla rivista Progettare la sanità, a Claudio Verusio, oncologo medico, primario all’Ospedale di Saronno, esperto impegnato in un progetto di formazione gestito con Edra, rivolto ai farmacisti del territorio sulla farmacia oncologica, giunto alla quinta edizione.
«In passato l’assistenza intensiva post-intervento era di prassi – spiega l’oncologo – in grandi reparti di degenza si effettuavano terapie tossiche, i ricoveri erano lunghi. Oggi le infusioni si fanno in day hospital, ma molte chemio e la terapia bersaglio sono orali, non c’è bisogno di recarsi in strutture dedicate, si somministrano a casa. La tossicità non è diminuita di molto né per tutta la chemioterapia, ma è cresciuta la terapia di supporto». E ricorda come l’impatto sulle difese immunitarie del paziente «costringeva a lunghi ricoveri per evitare o, purtroppo, affrontare infezioni endogene; i pazienti erano sottoposti ad antibioticoterapia e isolati 15-20 giorni».
Oggi il panorama farmacologico offre altre strade: «I pazienti con neutropenia non hanno più bisogno di ricovero: i Granulocyte Colony stimulating factors consentono di ripristinare la funzionalità del sistema immunitario. La terapia di supporto contro vomito è potentissima, dove ieri il paziente allettato vomitava, oggi è in piedi e mangia». L’oncologo prescrive una compressa al giorno da prendere per un mese e, a seconda della regione, il paziente si approvvigiona nella farmacia ospedaliera o sul territorio e si cura a casa. Non sono scomparse tossicità importanti che restano, avverte Verusio: «La terapia antiangiogenetica può dare ipertensione, conseguenze cardiovascolari, sanguinamento, e monitorare questi effetti collaterali sul territorio è più difficile. Lo stesso va detto per l’immunoterapia che potenzia l’azione del sistema immunitario contro il tumore. Il giorno della flebo la tossicità non si sente, ma nelle settimane successive si possono scatenare patologie autoimmuni (tiroidite, colite, polmonite) che non vengono spesso gestite in prima battuta in ospedale. Sul territorio serve un supporto competente, e paradossalmente il destinatario di una formazione specifica, ancor più del medico di famiglia, con poco tempo a disposizione perché chiamato alla medicina di iniziativa su più fronti, è il farmacista!».
«I farmacisti – prosegue – sono i primi a intercettare gli effetti collaterali: diarrea, prurito, nausea, ipertensione. E sanno che i pazienti sono in terapia antiblastica, sono in grado di conoscere i trattamenti nel dettaglio. Entrano in gioco dove più difficile è il collegamento con l’Ospedale, da una parte ricollegando un sintomo a una terapia in atto, dall’altra inquadrando grazie alla formazione eventuali soluzioni. Che possono essere ben diverse a seconda della terapia causa della reazione avversa: ad esempio, bisogna sapere che una diarrea immunoterapia necessita cortisone. Ovviamente – conclude Verusio – accanto al farmacista serve una comunicazione con la Disease Unit, l’oncologo può non essere lì presente ma la digitalizzazione consente di conoscere l’evoluzione del paziente in tempo reale, e gli allunga la vita. Uno studio Usa su 766 pazienti oncologici (Etan Basch) la metà connessi con IPad al centro oncologico, l’altra metà che comunicavano con i sanitari in modo tradizionale mostra per i primi una sopravvivenza media più lunga di cinque mesi: la rilevazione dei problemi iatrogeni del malato incrementa tempo e qualità di vita. Occorre però creare sul territorio, meglio nelle farmacie come dice la legge 109, punti di primo intervento collegati all’ospedale: una continuità assistenziale attrezzata».